Tradizione e rito
"La sera del venerdì santo, per ogni triennale di Gesù morto, dalla confraternita dei Dolori viene fatta la processione per la città, col simulacro del Redentore unitamente a quelli della Madonna, di San Giovanni e Santa Maria Maddalena, collocati in mistico gruppo sopra un palco fulgente, portato a spalla da alcuni devoti.
Intanto, le facciate delle case prospicienti alle vie, sono artisticamente illuminate con lampadine a olio. Lo spettacolo è quanto mai di grandioso e di suggestivo.
L'illuminazione, oggi, può dirsi unica in Italia, per il caratteristico disegno. Il palco procede lentamente tra la gente devota, che dalle campagne e dai Comuni limitrofi accorre numerosissima. La contemplazione di quella vergine trafitta nel cuore da sette lance, la vista del figliolo divino che al piede le giace nudo sotto orrido velo di sangue rappreso, ti danno all'anima il tormento angoscioso che si sprigiona dagli occhi con lacrime di compunzione e di rimorso, nell'analisi singola che in quell'attimo fuggente, ciascuno fa della propria coscienza.
Un coro d'uomini che eseguisce lo Stabat Mater seguendo la processione, accresce la solennità della festa che lascia nel cuore degli astanti un'indimenticabile impressione, un palpito nuovo di fede e di riconoscenza verso colui, che nel martirio del Golgota, purificò e redense l'umanità peccatrice. Usciti fuori di città, ecco la campagna con le sue adiacenti colline, che tutta illuminata, sembra un ampio anfiteatro, fantasticamente preparato per lo svolgimento, non si sa, di quale dramma funereo. La scena è bella e triste ad un tempo, e mentre alletta l'occhio dell'osservatore, piomba nell'anima un'infinita malinconia.
Quei lumi rossastri, che brillano nello sfondo notturno e che più qua e più là delineano emblemi della passione, sembrano facciano contrasto col cielo tremulo di stelle, che canta la primavera nascente, che scioglie l'inno della giovinezza e dell'amore alla natura ridestata, la quale sente nelle viscere i germi fecondi della nuova stagione.
Ma...la contraddizione sparisce se si considera che quella notte, ricordando la morte di Gesù, rammenta ancora, come dal sacrificio del Golgota sorse la vita vera, la giovinezza eterna, la primavera di un'era novella per l'umanità.
Quando l'ultima stella sta per essere eclissata dall'aurora nascente, qualche lampadina continua ancora a dare guizzi di luce".
Con queste parole Vincenzo Tabarrani descriveva nel 1930 la Triennale di Gesù morto di Camaiore. La sua descrizione però, per quanto suggestiva, non è sufficiente a delineare compiutamente questa forma di devozione nella quale il sentimento religioso è tanto intimamente intrecciato con quello folcloristico, la pietas popolare tanto profondamente unita al senso di identificazione sociale che una lettura che non si richiamasse a vari contesti, da quello storico a quello sociale, da quello religioso a quello culturale, risulterebbe comunque riduttiva. Al pari di ogni produzione sociale anche per la nostra processione bisogna quindi rifarsi a più ambiti per poter capire, per quanto sia possibile, non solo la funzione che essa assolve, ma soprattutto il senso, esplicito o implicito, che le si può attribuire. Ma dare un significato alle cose non è certo un impegno facile e poco rischioso. Le parole del Tabarrani ci offrono comunque un buon punto di partenza perché già in esse traspare un senso di mistero legato a questa pratica che celebra in maniera così funesta la morte proprio quando la natura è nel pieno risveglio primaverile.
Certamente un aspetto importante di questa tradizione è la complessità del suo allestimento che investe non solo coloro che sono direttamente responsabili della processione ( sacerdoti, confratelli, coristi, musicisti, ecc...), ma tutta quanta la popolazione che vive l'evento con sentita partecipazione. La realizzazione della luminara infatti richiede molti giorni di lavoro, necessari sia per preparare i supporti in legno da appendere agli edifici delle case, sia per sistemare i bicchieri che costituiranno le lampade ad olio. Questo laborioso impegno si sussegue secondo precise fasi: imbiancatura delle armature, loro posizionamento, sistemazione dei bicchieri, poi collocazione dell'acqua, poi dell'olio, poi dei caratteristici lucignoli (cincindellori), ecc...
Quindi esiste una ritualità che va al di là del momento prettamente religioso e che regola i comportamenti di tutta quanta la collettività. E' chiaro che questi gesti, parte integrante della tradizione, acquistano un significato in virtù della sacralità del rito celebrato, tuttavia sono compiuti con tale partecipazione ed emozione perché proprio attraverso di essi si esprime l'incontro delle esigenze di ciascuno con quelle dell'intera comunità: il rito in definitiva serve agli individui per incontrarsi e riconoscersi. La Triennale di Gesù morto oltre a rappresentare una forma di devozione, costituisce anche un elemento di identificazione e di aggregazione intorno a valori unanimemente condivisi che caratterizzano e identificano un preciso luogo, una definita realtà sociale. Infatti un rito richiede sempre uno spazio all'interno del quale i gesti, il linguaggio, le formule adoperate acquistano un preciso valore. Quindi il rito, così come la nostra tradizione, è una forma di comunicazione anche se il messaggio che veicola spesso sfugge alle nostre pretese di concettualizzazione. A volte però l'aspetto ripetitivo della tradizione, che appunto prende il nome di rituale, viene considerato come un limite, come una cornice normativa che sancisce ma nello stesso tempo reprime l'espressione individuale. Tuttavia questa rigida struttura inserita nel nostro quotidiano, fatto di imprevedibilità e contingenza, finisce per costituire un indice di mutamento. "Ecco -scrive Lattanzi- il rito marca una differenza nel normale fluire del tempo e schiude al quotidiano la possibilità di un cambiamento di scena; è una azione riflessiva che tende sempre ad attualizzare le circostanze e le contingenze storiche, e che opera destrutturando e ristrutturando il quotidiano".
Quindi sebbene il rito si manifesti come un evento collettivo organizzato secondo precise sequenze stereotipate, che riproducono azioni ripetitive e all'apparenza invariate, di fatto queste azioni "non si possono mai dire esattamente identiche alle altre, poiché il rito è sempre condizionato da particolari processi che variano a seconda delle circostanze storiche e delle aspettative o delle attenzioni degli attori sociali. Tali processi richiedono sempre una conoscenza approfondita del sistema culturale in cui l'evento si colloca, dal momento che c'è un nesso indissolubile tra rito e storia. Infatti, pur essendo il rito governato dalle leggi della tradizione, ribadite in sequenze ripetitive e ridondanti, la regola che costituisce l'azione rituale non impedisce ai suoi attori di prospettare o di determinare l'affermazioni di valori nuovi". Il rito quindi presenta sempre una valenza dinamica e al di là della sua apparente staticità, anche attraverso la tradizione si possono stimolare e suggerire istanze diverse, investendo di un nuovo senso la realtà cristallizzata nei rigidi schemi sociali.Ed è forse in questo aspetto che risiede una delle principali funzioni della tradizione, nella sua capacità ogni volta di vagliare, di ribadire o di aggiornare le regole e i valori che stanno alla base delle nostre radici culturali, rapportandoli a quanto ci offre la quotidianità.
La processione e la luminara
Foto Gisberto
Foto Gisberto
Foto Gisberto
Foto Claudia
Foto Claudia
Foto Claudia
MANIFESTO 2007
MANIFESTO 2010
realizzati da
art desing: Creativefarm;
foto: Paolo Ghilardi
IL DVD
Questo crocifisso è stato realizzato presso la nostra chiesa dal maestro Gabiele Vicari. Sarà visibile dal giorno di Pasqua sopra l'altare maggiore della chiesa Collegiata di Camaiore.